
Passeggio per le vie del rione San Filippo, vicino la casa dei miei nonni materni. Qui gli edifici sono vecchi, l’intonaco è saltato su quasi tutte le facciate. Un tempo le case erano di un giallo acceso, ma adesso il colore è sbiadito.
Da trent’anni vengo in questa città e praticamente quasi nulla è cambiato.
Tornare in questo luogo è come tornare in un posto dove il tempo si è fermato. È quasi tutto rimasto come lo conoscevo da bambina e così come lo conoscevano anche i miei genitori, cresciuti in questa terra, la Sicilia.
Arrivo nella casa dei miei nonni materni, la casa che ora è di mia zia perché i nonni non ci sono più.
In questa casa non è rimasto nessuno ed è disabitata da un anno.
Siamo venuti qui per il compleanno di mio nonno paterno che compirà novant’anni e questa casa ci accoglierà per una settimana.
Venivamo qui tutte le estati, accolti calorosamente dai miei nonni, mia zia e mio cugino. Una casa che è sempre stata affollata di gente.
I miei nonni ebbero quattro figli: due maschi e due femmine. Mia madre è la più piccola.
Oggi non è rimasto più nessuno. I miei nonni non ci sono più, mia zia e mio cugino sono andati a vivere al nord.
È la prima volta che ad accoglierci in questa casa non c’è nessuno.
Improvvisamente è la mente ad affollarsi. Fantasmi del passato si muovono tra queste mura: mio nonno con una gamba sola che saltella nel corridoio per muoversi da una stanza all’altra, mia nonna in cucina che prepara gli spiedini di braciole, mia zia e mia madre che chiacchierano sul terrazzo, mio cugino e mio fratello che giocano alla PlayStation.
Improvvisamente tutti i ricordi delle estati precedenti si sovrappongono, affollano la mente e lasciano un silenzio assordante, un vuoto che sento di non riuscire a colmare perché mi schiaccia.
Mi chiedo se mia madre stia provando la stessa cosa, dopotutto questa è stata la casa in cui è cresciuta, la sua mente sarà certamente più affollata della mia.
In questa casa c’è un silenzio che non si riesce a rompere, come se le diapositive del passato si sovrapponessero al presente, lasciando senza fiato, come se questa casa fosse stata disabitata da così tanto tempo che ad abitarla ormai fossero rimasti solo i fantasmi. E loro pretendevano di continuare ad esistere.
Penso che sia necessario creare nuovi ricordi per riuscire a superare questo impasse.
E so quando questo accadrà, tra pochi giorni, quando verranno a cena i fratelli di mia madre, con i quali ha chiuso i rapporti più di una decina di anni fa. Dopo tutti questi anni, hanno deciso di riappacificarsi e di liberarsi dei rancori del passato.
La data prestabilita è tra due giorni, martedì, il giorno della Madonna della Lettera, protettrice della città. Forse protettrice anche di questa famiglia. Per adesso, non c’è nulla che io possa fare per far smettere questo turbinio di pensieri, per rompere questo silenzio e colmare queste assenze.
È domenica sera e stiamo cenando con i tipici rustici siciliani, ma nemmeno il buon cibo riesce a cacciar via questa sensazione opprimente.
E così faccio l’unica cosa che sono in grado di fare: programmare le giornate, per cercare di distogliere la testa di tutti noi da questa casa.
Lunedì mare, martedì cena con i fratelli, mercoledì compleanno del nonno, giovedì visita di Ortigia, venerdì riposo e sabato partenza.
Stabiliamo un programma, una tabella di marcia, e questo aiuta un po’ a staccare la testa e a vivere questa casa in maniera inedita, non più casa di affetti ma di villeggiatura, dimora necessaria per le nostre vacanze e nulla di più.
Lunedì lo trascorriamo al mare e poi in giro per la città tra granite e passeggiate lungo la costa.
Si fa sera e torniamo a casa. Niente, di nuovo quel vuoto schiacciante, ma non posso fare altro che aspettare.
Aspettare il martedì, giorno della probabile riconciliazione di famiglia, giorno in cui questa casa tornerà ad essere abitata da mia madre e i suoi fratelli. Credo che solo allora questa casa smetterà di tormentarci.
Decido di uscire e fare una camminata per il quartiere.
Tra vie desolate, gatti randagi e anziani affacciati alle finestre, mi chiedo cosa sarebbe stato della mia vita se i miei genitori avessero deciso di non emigrare.
Sarei nata qui, cresciuta in questi luoghi come sono cresciuti i miei genitori.
Avrei parlato il dialetto siciliano perfettamente. Non lo so parlare perché la maestra di italiano delle elementari, emigrata anche lei, disse ai miei genitori che non avrei dovuto parlare il dialetto in casa. Che sciocchezza e che impoverimento culturale.
Chissà come sarei stata. A volte la mia fantasia è talmente vivida che quasi mi viene da credere di non stare immaginando, ma percependo altre realtà.
In questo momento, in una realtà parallela, i miei genitori sono rimasti a vivere qui e un’altra me passeggia per queste vie pensando cosa sarebbe accaduto se fossero emigrati.
Chissà se quell’altra me sta progettando di andare al nord o magari all’estero. È una probabilità molto realistica, visto che quasi tutti i miei cugini l’hanno fatto. La Sicilia è una terra splendida ma non c’è lavoro e nemmeno futuro per i giovani.
E così, l’altra me, mi capita di immaginarla. Mi ci voglio avvicinare col pensiero, come a volerla conoscere, come a voler sbirciare per un attimo nella sua vita.
Com’è lei? Più robusta di me? O più magra? Le piace stare qui o vorrebbe andarsene?
La immagino più robusta perché è spesso a pranzo dai nonni o dagli zii e a tavola non mancano mai focaccia e arancini. Quando esce con gli amici vanno in un bar vicino al mare a prendere la granita. Ci prova spesso a mettersi a dieta ma con scarsi risultati.
In questo momento cammina pensierosa, il lavoro qui è precario e ha scelto di laurearsi in lingue perché sa che avrà più opportunità nel campo del turismo.
Questo è un momento decisivo della sua vita, in cui sta per trasferirsi al nord o forse all’estero.
E allora cammina con un nodo in gola pensando al grande passo che sta per compiere e a ciò che sta lasciando.
E chi sta lasciando?
Tutta la sua famiglia e gli amici. Forse la vicina qui di fronte è proprio la sua migliore amica. La vedo da quando ero piccola e mi è sempre sembrata simpatica. Avranno fatto le scuole insieme e da allora non si sono mai più separate.
E se avesse anche conosciuto l’uomo della sua vita? Magari adesso è sposata e ha dei figli. Forse partiranno tutti insieme o forse stanno decidendo di rimanere nonostante tutto.
Lascio andare queste fantasie, dopotutto, sono così tante le variabili della vita che non si può mai sapere cosa sia meglio o peggio. Mi diverte, però, pensare di stare camminando nello stesso luogo e nello stesso istante, accanto alla me di una realtà parallela che, per scelte diverse, si trova qui ad abitare e a vivere, mentre io ci sono di passaggio. E che per una strana coincidenza, siamo qui ora insieme, connesse col pensiero e da una fantasia.
Finalmente arriva il martedì, giorno della Madonna della Lettera e giorno della riconciliazione tra mia madre e i suoi fratelli.
La serata trascorre nella spensieratezza e nel ricordare i momenti felici della loro gioventù. Ricordare i miei nonni, o meglio, i loro genitori, questa serata è la loro, non la mia. E così quei fantasmi che nei giorni prima tormentavano la mia mente, prendono vita attraverso le loro parole, le loro risate e sembra finalmente che l’elefante nella stanza venga rivelato. I fantasmi vengono visti e riconosciuti, non più nel silenzio dell’assenza ma nella gioia dei ricordi. Quella famiglia torna per una sera a vivere la casa e io li vedo i miei zii tornare bambini, ridendo e scherzando come facevano tra queste mura. Un nuovo ricordo si incastona in essa, un ricordo felice, di una famiglia che si riappacifica, che torna a unirsi.
Trascorre il mercoledì, mio nonno compie novant’anni. Siamo pochi parenti e sono l’unica nipote, i miei cugini sono tutti emigrati, chi al nord, chi all’estero e non hanno potuto prendere ferie per questo giorno. Io purtroppo sono l’unica ad essere qui, però sono felice di esserci. Felice di rivedere i miei nonni paterni, felice che siano ancora in salute.
Il giovedì lo passiamo ad Ortigia e mia madre è raggiante.
Arriva veloce il venerdì e ci prepariamo a partire il giorno dopo. Mia madre rompe delle uova e ne fa una frittata per il viaggio. Io mi metto a tagliare il prezzemolo con la mezzaluna che vedevo usare sempre da mia nonna. Ha i manici bianchi ed è ancora tagliente. Da piccola l’aiutavo a tritare l’aglio e il prezzemolo per preparare gli spiedini di braciole. Mi divertivo moltissimo a usare quella mezzaluna. Così mentre taglio il prezzemolo per mia madre, rivedo le mani di mia nonna. Le mie mani assomigliano molto alle sue.
La sento rivivere attraverso di me e per un attimo torna ad abitare questa cucina, è di nuovo tra noi. Sento gli occhi di mia madre su di me, intravedo un mezzo sorriso, forse anche lei la sta immaginando. Vorrei portarmela a casa questa mezzaluna, ma appartiene a mia nonna e decido di lasciarla qui, come se per assurdo potesse ancora servirle.